LECTIO DIVINA SUL VANGELO domenicale - 26

 

23 aprile 2017 – 2^ domenica di Pasqua

domenica della “Divina Misericordia”

Ciclo liturgico: anno A

 

Perché mi hai veduto, Tommaso, tu hai creduto;

beati quelli che non hanno visto e hanno creduto!

 

 

Giovanni 20,19-31                 (At 2,42-47  -  Sal 117  -  1 Pt 1,3-9)

 

Signore Dio nostro, che nella tua grande misericordia ci hai rigenerati a una speranza viva mediante la risurrezione del tuo Figlio, accresci in noi, sulla testimonianza degli Apostoli, la fede pasquale, perché aderendo a lui pur senza averlo visto riceviamo il frutto della vita nuova.


 

 

  1. La sera di quel giorno, il primo della settimana, mentre erano chiuse le porte del luogo dove si trovavano i discepoli per timore dei Giudei, venne Gesù, stette in mezzo e disse loro: “Pace a voi!”.
  2. Detto questo, mostrò loro le mani e il fianco. E i discepoli gioirono al vedere il Signore.
  3. Gesù disse loro di nuovo: “Pace a voi! Come il Padre ha mandato me, anche io mando voi”.
  4. Detto questo, soffiò e disse loro: “Ricevete lo Spirito Santo.
  5. A coloro a cui perdonerete i peccati, saranno perdonati; a coloro a cui non perdonerete, non saranno perdonati”.
  6. Tommaso, uno dei Dodici, chiamato Dìdimo, non era con loro quando venne Gesù.
  7. Gli dicevano gli altri discepoli: “Abbiamo visto il Signore!”. Ma egli disse loro: “Se non vedo nelle sue mani il segno dei chiodi e non metto il mio dito nel segno dei chiodi e non metto la mia mano nel suo fianco, io non credo”.
  8. Otto giorni dopo i discepoli erano di nuovo in casa e c’era con loro anche Tommaso. Venne Gesù, a porte chiuse, stette in mezzo e disse: “Pace a voi!”.
  9. Poi disse a Tommaso: “Metti qui il tuo dito e guarda le mie mani; tendi la tua mano e mettila nel mio fianco; e non essere incredulo, ma credente!”.
  10. Gli rispose Tommaso: “Mio Signore e mio Dio!”.
  11. Gesù gli disse: “Perché mi hai veduto, tu hai creduto; beati quelli che non hanno visto e hanno creduto!”.
  12. Gesù, in presenza dei suoi discepoli, fece molti altri segni che non sono stati scritti in questo libro.
  13. Ma questi sono stati scritti perché crediate che Gesù è il Cristo, il Figlio di Dio, e perché, credendo, abbiate la vita nel suo nome.

 

Spunti per la riflessione

 

I segni del risorto

È possibile abbandonare i sepolcri?

Riuscire, in qualche modo, a dare corpo alla speranza dell’annuncio di Gesù risorto?

Abbiamo appena celebrato i grandi giorni della Pasqua, una festa che si è prolungata per otto giorni.

In questa giornata, nel passato, ad una settimana dalla grande notte, i neo-battezzati deponevano le vesti bianche ricevute per indicare la loro nuova dignità.

È la domenica in albis, in bianco.

Sembra una storia a lieto fine: il crocefisso è risorto, il dolore è superato, lui non è più prigioniero della morte.

Magnifico. Bel finale. Un applauso.

Il problema è che ci sono molte sorelle, molti fratelli, che hanno saputo dell’evento, che hanno udito l’annuncio, che sono stati raggiunti dalla grande novità. Ma che sono ancora nel dolore: la resurrezione, se c’è stata, non li ha raggiunti.

Gesù è risorto, certo. Buon per lui.

Non ditelo a Tommaso.

 

Sangue

La sera di Pasqua il maestro ha raggiunto i discepoli. Storditi, attoniti, lo hanno accolto, senza capire, ancora e ancora, cosa sia veramente successo. Ma è vivo, questo solo conta. Le donne avevano ragione. Sono pieni di gioia, i pavidi apostoli, la speranza si è riaccesa, come un turbine, come un’onda che sale lentamente. È vivo, questo è certo. Lo hanno visto, lo hanno riconosciuto.

Ma allora.

Allora ciò che egli ha detto ha uno spessore diverso.

Allora, chi è veramente Gesù?

Allora…

Tommaso è assente. Quando torna, i suoi amici gli danno la notizia, confusi e stupiti.

È gelida la risposta di Tommaso.

No, non crede.

Non crede a loro. Loro che dicono che Gesù è risorto, dopo essere fuggiti come conigli, senza pudore. Non crede, Tommaso, alla Chiesa fatta da insopportabili uomini fragili che, spesso, nemmeno sanno riconoscere la propria fragilità. Non crede ma resta, e fa bene.

Non fugge la compagnia della Chiesa, non si sente migliore. Rassegnato, masticato dal dolore, segnato dal sogno infranto, ancora resta. Tenace.

Torna Gesù, apposta per lui.

 

Sofferenza

So che hai molto sofferto, Tommaso. Anch’io, guarda qui.

Gli mostra le mani, il risorto, trafitte dai chiodi.

Ora cede, Tommaso, il grande credente. Si getta in ginocchio, piange, come un bambino che ritrova i propri genitori. Piange e ride e, primo, professa la fede che sarà di tutti: Gesù è Signore e Dio.

Può il dolore avvicinarci a Dio?

Sì, se scopriamo che Dio lo condivide senza riserva.

Il risorto, ormai, lo riconosciamo solo attraverso dei segni: le bende, la voce, il pane spezzato, il segno della pesca. Ma anche le ferite del risorto, la partecipazione al dolore di Dio diventano segno.

 

Papi

L’ho conosciuto bene, Giovanni Paolo II. Ha segnato una generazione con il suo modo innovativo di essere Papa, con la sua straordinaria presenza che radunava le folle, con il suo carisma mediatico che ha stupito più di uno scettico. Il Papa polacco venuto dall’oppressione nazista e sovietica, il papa dei grandi gesti, dei viaggi, il difensore degli ebrei. Un gigante.

Che ha voluto celebrare il solenne Giubileo del duemila come una grandiosa purificazione delle memoria ferita del cristianesimo.

Poi, ne sono certo, avrebbe voluto chiudere così la sua vita.

Ma il Signore lo aspettava per l’ultima, tragica testimonianza. Il Parkinson se lo è mangiato pezzo dopo pezzo, facendo del vigoroso e atletico pontefice un povero vecchio, portandogli via il movimento, la parola, tutto, mentre chi lo aveva applaudito iniziava una nuova guerra.

E quel vecchio tenace è diventato icona di speranza, senza saperlo.

Profezia di un altrove che, nel mondo dell’immagine, dell’efficienza, del giovanilismo, ha scosso tutti.

 

Misericordia

Lui ha voluto fare di questa domenica la festa della misericordia.

Il risorto ci viene incontro colmando il nostro cuore di benedizione, di tenerezza, di gioia.

Animo, fratelli ancora nell’ombra: Tommaso è il patrono dei ritardatari.

Animo, fratelli segnati dalla malattia, Dio può fare di voi un capolavoro, come con papa Giovanni Paolo. 

Animo, fratelli scoraggiati, la misericordia ci salva.

 

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L’Autore

 

Paolo Curtaz

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Esegesi biblica

 

Apparizione ai discepoli (20, 19-31)

Questo brano riferisce due apparizioni del Risorto: l’una ai discepoli, la sera dello stesso giorno di Pasqua (vv. 19-23), l’altra a Tommaso, otto giorni dopo (vv. 24-29). Al termine di queste due apparizioni, si ha la prima conclusione dell’intero vangelo (vv. 30-31).

 

1) L’identità tra il Risorto e il Crocifisso.

L’inizio del racconto vuole far capire che il Risorto che appare è il Gesù crocifisso sul Calvario (vv. 19-20).

Da una parte l’entrare a porte “chiuse”, il fermarsi “in mezzo” agli apostoli e il rivolgere loro la parola dicono chiaramente che Gesù è vivo e possiede un’esistenza del tutto nuova (cfr. 1 Cor 15, 35-50), non quella del semplice tornato in vita, come Lazzaro.

D’altra parte Gesù “mostrò loro le mani e il costato” (v. 20), cioè i segni che il martirio subìto avevano provocato sul suo corpo. Il mistero pasquale consiste proprio nell’identità tra il Gesù del venerdì santo e il Signore della domenica di Pasqua e di tutto il tempo della vita della Chiesa. Credere fermamente che Gesù è risorto e che la sua risurrezione è causa anche della nostra, è sorgente di forza e di speranza.

 

2) I doni del Risorto.

Possiamo ridurli a tre: il conferimento della missione, il dono dello Spirito Santo (la Pentecoste giovannea) e il potere di rimettere i peccati.

Il conferimento della missione: “Come il Padre ha mandato me, anch’io mando voi” (v. 21). Il parallelismo Padre-Figlio e Figlio-credente, caratteristico del linguaggio giovanneo (6,57; 10,15), è ben più che una semplice analogia: realmente Gesù conferisce ai suoi la missione che ha ricevuto dal Padre. La frase più vicina alla nostra è quella della preghiera sacerdotale: “Come tu mi hai mandato nel mondo, anch’io li ho mandati nel mondo” (17,18).

Il dono dello Spirito Santo: “Gesù alitò su di loro e disse: Ricevete lo Spirito Santo” (v. 22). Il verbo greco “emfjsào”, soffiare, usato per indicare la trasmissione dello Spirito, ricorre solo qui nel NT ed è anche assai raro nell’AT; ricorre in Gen 2,7 quando Jahwè soffia lo spirito di vita sulla creta per essere uomo vivente, poi in Ez 37,9 per descrivere la nuova vita delle “ossa aride”. Questo contesto generale ci porta a ritenere che nel nostro versetto si parli di un nuovo atto creativo: mediante il dono dello Spirito, Gesù compie nei discepoli una nuova creazione. Non possiamo qui specificare adeguatamente il rapporto tra questo dono dello Spirito e quello della Pentecoste narrato da Atti 2. Molti studiosi ritengono che Giovanni abbia anticipato qui il fatto della Pentecoste per esprimere così la totalità tra i due avvenimenti.

Il potere di rimettere i peccati: “A chi rimetterete i peccati saranno rimessi e a chi non li rimetterete resteranno non rimessi” (v. 23). Il Risorto conferisce questo potere a quanti si trovavano in quel determinato luogo a porte chiuse, cioè agli apostoli; conseguentemente si tratta di un potere di carattere ecclesiale concesso agli apostoli e ai loro successori; in questo senso vanno anche le determinazioni del Concilio di Trento (sess. VI, c. 14; sess. XIV, cc 5-6 e canone 10).

 

3) L’adesione di fede nel Figlio di Dio.

Nella seconda apparizione, avvenuta “otto giorni dopo” (V. 26), predominano la persona del Risorto e quella di Tommaso. Quest’ultimo è disposto a fare propria la lieta testimonianza degli altri discepoli: “Abbiamo visto il Signore” (v. 25) soltanto se controllerà fisicamente nel Risorto i segni della passione. Con questo atteggiamento di Tommaso, l’evangelista ha in modo di portare avanti l’identità già riscontrata tra il Crocifisso e il Risorto.

 

Con sconfinata condiscendenza Gesù viene incontro alla pretesa di Tommaso e lo porta a proferire la più alta professione di fede presente nel quarto vangelo: “Signore mio e Dio mio!” (v. 28). L’esatto sfondo per capire tale risposta è quello dell’AT, dove le parole “Signore” e “Dio” corrispondono ai nomi ebraici di “Jahwè” e “Elohim” e sono molto vicine a quanto scrive il Sal 35,23: “Mio Dio e mio Signore”. Con la tecnica, abituale nel NT, di trasferire su Cristo quanto l’AT dice di Jahwè, qui viene proclamata esplicitamente la divinità del Crocifisso-Risorto che Tommaso ha davanti. Le altre professioni di fede, che Giovanni dissemina nel suo vangelo – quali quella di Natanaele (1,49), degli abitanti di Sicar (4,42), di Simon Pietro (6, 68-69), del cieco nato (9,38) e di Marta (11,27) – rimangono al di sotto di questa di Tommaso. Da questo momento in avanti il resto del nostro testo non fa altro che sottolineare il tema della fede: “Beati quelli che pur non avendo visto crederanno”.

 

L’intero brano deve essere letto in chiave liturgica ed eucaristica, nel contesto dell’assemblea domenicale. È quanto ci suggerisce il testo stesso con le frasi: “La sera di quello stesso giorno, il primo dopo il sabato”, cioè la domenica, “Otto giorni dopo i discepoli erano di nuovo in casa” (v. 26), dove quel “di nuovo” suggerisce che i discepoli si riunivano ogni settimana, di domenica, e non ogni giorno. Ricordiamo che quando Giovanni scriveva l’assemblea eucaristica domenicale aveva già avuto un buon collaudo; si vedano Atti 20,7-11 (la celebrazione domenicale a Triade) e 1 Cor 16,2 (la celebrazione domenicale a Corinto). È dagli scritti giovannei che proviene il termine “giorno del Signore” (Ap 1,10) o domenica.

 

A questo punto si conclude il vangelo di Giovanni (20,30-31). A sorpresa però il vangelo prosegue con un altro capitolo (21, 1-23) e un’altra conclusione (21,24-25).

Gi studiosi infatti pensano che questo capitolo 21 sia stato aggiunto più tardi, perché il racconto sembra ignorare le precedenti manifestazioni di Gesù.